sabato 30 gennaio 2010

Giuliano il «Razzo» dall’Appennino alle cime del Canada

Quel giorno a Zagabria sembrava che il destino ci avesse messo maliziosamente lo zampino. Troppe le coincidenze, per non parlare di predestinazione. E così capita che al parterre dello slalom di Sljime ci sia sua maestà Alberto Tomba, e capita pure che, proprio davanti al Re, e dopo anni di delusioni per i colori azzurri, vada a vincere un ragazzone semisconosciuto dell’Appennino. Emiliano come Tomba. All’arrivo scoppia la festa tricolore. Albertone si prende il vincitore sulle spalle e lo porta in trionfo. Un’investitura. La foto fa il giro dell’Italia. «Ecco l’erede di Alberto. Un altro emiliano che ci farà sognare», sembra dire la didascalia. E invece le somiglianze sono più apparenti che reali fra il divo di Castel de Britti e Giuliano Razzoli. Intanto perché il buon Razzo di gara ne ha vinta una e non 50. «Di Tomba non ce ne saranno più. Non consiglierei a nessuno di accomunarci», dichiara (giustamente) in un’intervista.



Ma non è solo questo. La sua è un’altra storia. Con Tomba, borghese, bolognese, prediletto dagli dei dello sci, ha poco a che spartire. Viene dalle montagne Razzo, da Villa Minozzo, un comune dell’Appennino reggiano, dove ha messo gli sci all’età di quattro anni. E la sua, fino a poco tempo fa, è stata una gavetta fatta di scarne soddisfazioni e duri allenamenti. Come ogni buon prodotto italiano è fatto in casa, Giulietto. Terzo di tre figli (due sorelle maggiori), cresciuto sciisticamente dal padre, ingegnere metalmeccanico e maestro di sci che, visto il talento del ragazzino, ha lasciato tutto per curare quel piccolo patrimonio di destrezza. Non è stato facile. Sacrifici, infortuni e un maledetto dolore alla schiena che stava per convincerlo a mollare. Un anno e mezzo di stop. Fino all’incontro con Sara, una fisioterapista di Bologna che lo rimette al mondo (dopo la vittoria di Sljime il primo pensiero è stato per la dottoressa oggi scomparsa). Non poteva abbandonare tutto, Giulietto, non dopo quella «visione». «Avrò avuto otto anni. Sciavo a Febio, la montagna della nostra gente sull’Appennino reggiano. Fu lì che ebbi la visione». Non sognare, ma vedere la vittoria. «Improvvisamente, senza una plausibile spiegazione scientifica, diventi più pesante e più leggero». Chissà se avrà «visto» anche la festa spontanea scoppiata a Razzolo, la frazioncina, patria di tutti i Razzoli, che ha dato i natali anche alla sua famiglia. Coi ragazzi del fan club si diverte, ma dopo la vittoria li ha avvertiti: bevete voi, per me se ne riparla quest’estate. È un tipo tranquillo, Giuliano Razzoli. Gli piace mangiare, divertirsi, ma senza strafare. Ama leggere. «Quando sono in Austria in particolare, sprofondo nei libri (non parla tedesco, ndr)». Come ogni buon emiliano stravede per i tortelli («il mio piatto preferito»).



I primi successi in Coppa Europa l’anno scorso gli danno la carica. Giuliano si sblocca. Poi arrivano anche i podi in Coppa del Mondo. Infine la gioia immensa di Sljime. E l’altro giorno un‘altra soddisfazione: il terzo posto in una classicissima come Kitzbuhel. Adesso a 25 anni lo aspettano le Olimpiadi. Dopo il ritiro del suo amico Giorgio Rocca, avrà tutti gli occhi puntati addosso. La responsabilità di una medaglia fra i «pali stretti» è appesa ai suoi piedoni (numero 47 e scarponi su misura)e su Manfred Moelgg. Ma non si preoccupa più di tanto: «Vivo alla giornata». Vancouver? «Sicuramente non avrò nulla da perdere». In Canada, 22 anni fa, un altro emiliano portò a casa due ori. Noi non facciamo paragoni, e incrociamo le dita. http://tinyurl.com/y9vwsa2

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